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Davide Catania

dal 18 Novembre al 3 Dicembre 2016

Lavì! City – Bologna

A cura di Elena Orlandi

 

Dopo lo sfratto, un padre e un figlio cercano casa. Molte ne vedranno: muri, finestre, tetti, persiane, staccionate, pali; vetri, legno, pietre, mattoni.
Si vive non solo nei bei palazzi dei quartieri gentrificati alla moda, ma anche in piccole stanze in affitto, cascine semiabbandonate, appartamenti classe energetica G, sottotetti e cantine, ruderi in estrema periferia, roulotte, baracche, tende.
Il racconto di Davide Catania parla di questo, e i disegni che lo integrano e sovraccaricano diventano indispensabili alla comprensione della ricerca ossessiva e della discesa spiraliforme verso alloggi sempre meno riconoscibili, in quanto tali, agli occhi di noi portatori di uno sguardo privilegiato e perciò profondamente miope.
Il segno spezzato, dinamicissimo, della matita morbida, che tradisce il gesto veloce e ripetitivo, restituisce movimento alle strutture delle case, delle automobili, dei parcheggi, delle impalcature. Tutto è mobile, anche gli immobili per eccellenza; tutto è instabile, precario.
Forse solo l’accumulare segno nero su segno nero restituisce un po’ di struttura alla materia, proprio mentre la mette in discussione, ma questo è subito contraddetto dall’uso dei piccoli fogli di carta povera che quel segno accolgono.
Niente rimane fermo, tutto si inclina e infrange, come preso in un vortice veloce, eppure un paesaggio viene ricomposto.
Un paesaggio fatto di pietre, impalcature, staccionate, ferri vecchi e arrugginiti. Un paesaggio in cui ricostruire il bello in maniera più privata e meno appariscente, perché questo è necessario.
Dove il bello non c’è, va immaginato.