Rituali

Luciano Leonotti

dal 16 al 28 agosto 2014

Spazio Lavì! – Sarnano

A cura di Elisa Contessotto

 

Il Peccato dell’Eternità

“Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo.” Recita il libro sapienziale dell’Ecclesiaste, al primo versetto del famoso capitolo riguardante il tempo. C’è un tempo per tutto, dice il Qòelet della Sacra Bibbia, ma che cos’è il tempo se non il peccato dell’eternità?

Per raggiungere la sintonia col discorso fotografico di Leonotti la prima necessità è quella di non fermarsi di fronte all’apparente ed efficace immediatezza del messaggio, l’iconica laconicità dei volti, degli spiriti, dei momenti intrappolati di divenire che ci restituisce, quotidiani eppure assoluti. Devo rompere il confine tra una fotografia e l’altra, tornare su di esse dopo averle viste una prima volta, e così una seconda, e una terza; quasi in una sorta di ‘eterno ritorno’. E qual è il risultato di questi passaggi? Un viaggio alla ricerca di qualcosa che è soltanto suggerito, inesplicito ed inesplicato, nascosto dietro le croci e sopra le gradinate, vicino alle persone assiepate, tra le folle anonime e consuete, oltre gli sguardi infastiditi da un sole pallido del giorno di festa.

Un rituale è la struttura di un determinato rito, un complesso insieme di definizioni che scomoda la storia delle religioni, della sociologia e dell’antropologia moderna. È il passaggio di Van Gennep, quella ‘transizione’ dell’uomo che cerca di astrarsi dal mondo per poi reintegrarvisi rinnovato. È quell’imprimatur sociale di cui parlano Durkheim e Malinowski, in cui il totem, il feticcio, l’oggetto di culto viene usato come simbolo, nella sua accezione etimologica di strumento catalizzatore, di facilitatore d’unità tra gli uomini, che così trovano una possibilità d’individuazione, d’essere finalmente parte del tutto sociale, indivisi e pacificati. Il rituale è un atto che porta con sé un sempiterno risultato: agisce sul tempo.

La violenza del quotidiano che sta dietro alle forme, fra le ombre e le folle, tra le carni che si fondono ai vestiti da cerimonia, e tra le cerimonie che cambiano – passando da quelle religiose a quelle non meno sacre delle ‘rappresentazioni’ sociali, – negli ambienti che diventano contesti, nel fondo che s’intreccia al primo piano ci sono a volte citazioni di sintassi visive seicentesche.

In queste fotografie Leonotti afferra per un istante che dura tutto ‘il tempo’ lo spettro del rituale umano che – ben lungi dall’essere metafisico, – parte dalle vette dello spirito per sprofondare nella carne, in quella ricerca del pane quotidiano sulla bocca di ogni devoto e nella mente di ogni laico: sia esso credente, agnostico o ateo.

Il rituale allora diventa qui un discorso d’attimi, in cui la ricerca è doppia, nell’insieme del percorso e nel dettaglio di ogni singola foto c’è l’anelito umano di fermare il tempo, in quella corrente, in quel flusso che passa da una foto all’altra. Un unico Eterno flusso di carni e anime chiamato Umanità.