Sono nata a Catanzaro, il 4 marzo del ‘76. All’alba esattamente.
Dopo la maturità artistica e la laurea in Accademia di Belle Arti (Roma) non ho mai smesso di sperimentare e ricercare, anche là dove tutto pareva consumato, ossidato, poiché il tempo e la traccia che lascia sono elementi di continuo interesse.

 

Esperienze artistiche recenti:
Progetto site-specific vincitore del bando “Della morte e del morire”, Associazione dello Scompiglio (Lucca, 2018)
Quando l’abbandòno genera resistenza – progetto site-specific vincitore bando InsOrti (Bologna, 2017)
Liturgia dell’io – Intervento site-specific nell’ambito di X-FORMA – Arti Visive e performative (Padova, 2017)
Assonanze – Rumori di carta – collettiva nell’ambito di Art City Bologna / Arte Fiera (Bologna, 2017)
Fin qui tu c’eri Esperimenti in acustico solo per orecchie verticali – Personale c/o AtelierSì (Bologna, 2017)

 

Lavoro alla realizzazione di interventi site specific in luoghi non deputati all’arte, coadiuvando percorsi partecipati tramite pratiche di audience engagement, con lo scopo di valorizzare la presenza degli spazi oggetto d’intervento attraverso azioni volte ad una possibile rivitalizzazione.

 

Ho realizzato alcuni video documentari in ambito artistico e sociale:
Rischiavamo di essere felici, racconto di viaggio dal nord verso il sud Italia di un gruppo di artisti di strada in tour; regia e montaggio (2016);
precariEtà, narrazione attraverso linguaggi diversi sulla precarietà lavorativa, economica e sociale contemporanea; regia e montaggio (2013). Vincitore 1° premio “Roberto Gavioli – per documentari sul mondo dell’Industria e del lavoro”;
Lavoravo a strada sullo sfruttamento sessuale delle donne migranti vittime di tratta; regia e montaggio (2012). Menzione speciale al Sardinian Sustainability Film Festival.

 

Principali esperienze lavorative in comunicazione e didattica/formazione:
Collaborazione con l’Azienda USL di Bologna – Dipartimento di Sanità Pubblica in qualità di esperto in comunicazione e progettista grafico; progettazione di percorsi e laboratori didattici sulla prevenzione e riduzione del rischio con metodo peer education e pratiche partecipative.
Collaborazione con la Fondazione Marino Golinelli, realizzazione di percorsi didattici e formativi su arte, scienza e riciclo nell’ambito della manifestazione Scienza in Piazza.

L’attesa come recupero dell’umanità
Davide Da Pieve

 

L’esposizione ideata da Alessandra Marolla narra la storia di un’attesa e incarna un momento di sospensione in cui le coordinate spaziotemporali vengono meno per rivolgersi direttamente ai nostri sensi.

Lettere dallo spazio/liturgia della memoria è un’esposizione introspettiva, una narrazione che si sviluppa attraverso ricordi e memorie sotto forma di frammenti, in cui è possibile scorgere, riprendendo le parole di John Berger, una tensione tra cultura della sopravvivenza e cultura del progresso: una relazione inestinguibile tra passato e presente, tra memoria e divenire.
Tale legame risulta evidente nella serie di fotografie collocate sul piccolo ripiano; l’impressione di date per mezzo di timbri nel retro delle immagini porta all’attenzione il divario che separa una dimensione passata da una volontà di attualizzazione dell’immagine.

Ciascun visitatore può prendere gli scatti esposti e portarli via con sé, solo dopo aver impresso un timbro con la data in cui lo fa. Affiancandosi all’impressione precedentemente realizzata dall’artista – con la data dello scatto – il secondo timbro evoca uno scarto, una distanza, ma, al contempo, una convergenza: un flusso inarrestabile equiparabile al processo di ossidazione a cui sono sottoposti I supporti in ferro di altre opere esposte.

Le lettere installate a parete giungono metaforicamente dallo spazio, ovvero da un mittente sconosciuto, lasciando allo spettatore assoluta libertà immaginifica, senza correre il rischio di rendere ogni singolo frammento un semplice documento. Ci troviamo di fronte a un grande archivio, a un’accumulazione di frammenti di vita che Christian Boltanski, definirebbe “tracce di identità perdute”. Con queste parole colme di energia l’artista francese indica la concretezza di un’assenza, la matericità di un frammento che acquista nuovo valore ogni volta che viene osservato.
La distribuzione ordinata e simmetrica delle lettere evoca una certa solennità dell’opera, dando vita a un archivio composto da numerosi frammenti di parole e immagini.

L’archivio infatti, nel nostro caso, non è concepito per stimolare una lettura che rispetti una logica consecutio temporum; ciascun elemento in esso contenuto costituisce l’inizio di una narrazione che si sviluppa attraverso piccoli frammenti, lasciando al visitatore la possibilità di leggere una storia da costruire e ricostruire di volta in volta.

Le parole e le immagini, per certi aspetti, sono impiegate dall’artista come mezzo intercambiabile: entrambe sono intendibili come mezzi di trasmissione capaci di veicolare contenuti e, nel medesimo tempo, come reliquie e testimonianze: l’immagine è eterna, è mezzo inossidabile del fragile e instabile passaggio dell’uomo, proprio come accade con il messaggio scritto.

Nonostante le similitudini tra i due mezzi è importante sottolineare alcune differenze: se la fotografia è realizzata per mezzo di uno scatto immediato, la scrittura di una lettera è qualcosa di più lento, un’azione manuale prolungata e fluente che contraddice le spinte tecnologiche avviate dall’immediatezza del click fotografico.

L’arte, quando è legata alla memoria e al ricordo, diventa veicolo di conoscenza e di valori che arrivano all’osservatore in modo diretto e immediato, riportando alla mente immagini forti, e favorendo lo sviluppo di pensieri estremamente personali.

 

Lettere dallo spazio/liturgia della memoria è una mostra evocativa con un forte carattere di apertura, non solo per i suoi contenuti, ma anche per il coinvolgimento empatico rivolto al pubblico. Lo spazio è dunque inteso come luogo simbolico dell’altrove, in cui tutto resta sospeso, in attesa. In questo senso dobbiamo intendere la liturgia: una sospensione tra l’opera e il pubblico, il dono dell’attesa come momento di condivisione intimo. Nel pieno degli sviluppi dell’immediatezza dell’era digitale, nel periodo in cui anche la scrittura è diventata per lo più una somma di numerosi click, potrebbe sembrare quasi paradossale, o addirittura un sentimento nostalgico e fuori moda, parlare di attesa.

La velocità dell’algoritmo corrisponde oggi a una grande frenesia nei comportamenti. I nuovi dispositivi impiegati per la comunicazione ci spingono a esercitare una lettura sempre più per sommi capi, suggestionando negativamente la comprensione del contenuto e del nostro rapporto con la realtà.

 

L’attesa diventa così elemento cardine dell’esposizione: un riscatto, un agente nella sfera percettiva e sociale, per cercare di portare verso l’esterno la densità dei territori incogniti dell’essere.