Betty Zanelli è un’artista che lavora principalmente con la fotografia, l’elaborazione digitale e l’installazione. Figlia del critico cinematografico Dario Zanelli , ha studiato a Bologna, dove è nata, diplomandosi in Pittura all’Accademia di Belle Arti. Sul finire degli anni ’80 si è trasferita a New York dove ha vissuto per otto anni. Qui ha sviluppato una ricerca artistica proteiforme che va dall’installazione alla fotografia e ha partecipato a numerose mostre personali e collettive. Tra il 1991 e il 1995 ha partecipato al Project Studio Space Program del P.S.122 ottenendo l’art residency per due anni. Tornata in Italia ha proseguito la propria ricerca artistica e l’attività d’insegnamento. Dal 2000 privilegia la fotografia e la stampa digitale, mezzo con cui indaga l’iconografia popolare e la cultura pop. Continua a viaggiare per approfondire la propria ricerca sui luoghi deputati al divertimento, Luna Park, giostre e attrazioni per bambini.

Scrive di sè: Il mio lavoro ruota attorno ai luoghi deputati al divertimento e dedicati principalmente ai bambini, ma in particolare a quelli abbandonati, in disuso, o che sono al momento deserti, e dove i bambini non compaiono assolutamente mai.  Mi interessa l’aspetto inquietante dei protagonisti di questi giochi che spesso  hanno un aspetto sia invitante e accattivante, con i loro colori sgargianti, sia minaccioso e inquietante. Quasi fossero una metafora del mondo del bambino in cui l’atteggiamento dell’adulto può essere rassicurante e sorridente, ma diventare da un momento all’altro una minaccia. Le immagini riportano ad atmosfere a volte felliniane e a volte lynchiane, dove ambiguità e candore, malizia e innocenza si mescolano lasciando lo spettatore turbato seppur divertito.

Le principali mostre personali e collettive si sono tenute a New York (Newhouse Center for Contemporary Art, Snug Harbor Museum, P.S.122 Gallery, MMC Gallery, Knitting Factory), a Los Angeles (Otis/Parsons Gallery), a Berlino (CAOC Gallery), a Londra (Art Works Space), a Roma e a Bologna (Arco di Rab, Il Graffio, Il Campo delle Fragole, Studio Mascarella, H2O Art Space, Natural-Camera, L’Ariete Arte Contemporanea). Attualmente vive e lavora a Bologna dove è docente presso l’Accademia di Belle Arti.

A cura di Alice Rubini

 

Spesso è solo un dettaglio, o la luce di un luogo con le sue gradazioni, che riescono a magnetizzare la forza di un’emozione e di uno sguardo, a rendercelo in una dimensione che appartiene soltanto a noi stessi, che ci riporta a un tempo diverso, più nostro e indefinibile, un po’ lontano, popolato di ricordi nutriti da una tenera nostalgia. Non sempre legato a un evento ma piuttosto a un momento, a un sentimento, a una percezione che riemerge dal mare quotidiano che mescola e confonde ogni cosa.
E così il tempo reale, quello fissato dallo scatto fotografico di Betty Zanelli, conquista il delicato abbandono ad un gesto di seduzione, in proiezione di qualcosa di incredibile, di emozionale, di profondo, con quella concretezza che appartiene alla percezione delle cose attraverso le più semplici sensazioni umane.
Trovo silenzio e musica, che si alternano in modo quasi conflittuale, ad avvolgere queste immagini, così vivide e intense, che saturano la superficie delle opere. Trovo lo splendore dei colori e la solitudine degli spazi che contraddicono la memoria semplice a cui, di slancio, mi riconducono. Trovo il presente, il passato e un tempo astratto, e mi riconosco in questa eclettica dimensione.
In fondo, è come se quelle sagome ferme ritrovassero il loro movimento nel nostro sguardo, e lì intuisco la gioia del gioco e la dolcezza di averlo dovuto lasciare, ancora con il sorriso sulle labbra, ancora con la voglia di rimanere. Frementi a partire, s’iniziava a muoversi e il desiderio di scendere non arrivava mai, e seppur appagati, questa delusa aspirazione ci accompagnava fino a casa.
C’è qualcosa di assoluto e sorprendente nelle giostre, anche quando rimaniamo lì fermi a guardarle girare, anche quando la musica finisce e qualche piccola voce implora di rimanere ancora. C’è qualcosa di assoluto nel lavoro di Betty Zanelli, nella sua necessità di chiarezza, senza sovrastrutture e senza artifici, nella sua necessità di candore e di purezza di stile, attuato attraverso un lungo percorso di ricerca di luoghi, di sfumature, di circostanze e di atmosfere, e mediato da un’intensità sentimentale, voluta, sentita, vissuta.
Riconosco in lei la capacità di trovare ed esaltare luminose atmosfere e perfette inquadrature, di fissare l’estasi e l’incanto di quei toni e quei riflessi che la sera accendono il cielo, e di sintetizzare quella moltitudine di tante cose che ci inebriava di un divertimento semplice. Una visione d’insieme che rievoca rumori sovrapposti che riempiono la testa e profumi di cose dolci, accattivanti che saturano l’aria e riportano a quel luogo e a quegli oggetti così strani e particolari che hanno dato un passaggio alla nostra infanzia.
Un salto indietro nel tempo che ci affascina ancora, per quell’emozione forte e quella spensieratezza che ci ha attirato e a volte fatto battere il cuore all’impazzata. Sì, lì, davanti a quel castello fantastico, pieno di cavalli e di carrozze e di tanti animali, ci ricordiamo di aver anche scoperto l’angoscia dell’abbandono che inseguiva la felicità di ritrovarsi. Quel girare in tondo aveva in sé un tempo eterno, sconfinato, interminabile, in cui cercare la nostra certezza, il nostro sicuro riferimento, lo sguardo e il saluto di chi ci ha accompagnato che sembrava andasse via per sempre, però poi tornava e il piacere era ancor più intenso perché, dopo un altro giro, l’avremmo ritrovato ancora.
Colgo tutto questo nelle opere di Betty, mi piace questa sovrapposizione di sentimenti che riaffiorano, questa tenerezza e quest’inquietudine latente che procedono nella stessa direzione, anzi, che fanno insieme lo stesso “giro”, trasformando le inquadrature in sottile evocazione. Così come mi piace scoprire, tra i chiaroscuri delle immagini, una serie infinita di rimandi narrativi, letterari e filmici, che si susseguono come frammenti che appartengono ad un universo diverso, come anche leggere tra i titoli delle opere una particolare attenzione alla musicalità, a filastrocche e canzoni dedicate all’infanzia.
La sua irrinunciabile precisione, questa particolare attenzione, questo colmarci d’informazioni, rimangono comunque elementi discreti che fanno parte di un equilibrio estetico e linguistico che aspira a un sentimento positivo. Sono figurazioni che richiedono la nostra resa, la nostra capacità di ritrovare in noi uno sguardo innocente e di condurlo a una lettura poetica e divertita, rincorsa sulla scia delle emozioni.
Ed un particolare esiste con la sua assenza: in queste scene, in questi scatti, in questo rincorrersi di suggestioni, non troviamo anima viva. Non abbiamo indizi, dimensioni, sguardi ed espressioni che vengano rivolti dalla nostra parte, questo vuoto umano è lì e toglie ancor più tempo al tempo, sottrae dimensione e profondità allo spazio, ruba voce ai mormorii in sottofondo. E ci disorienta l’indefinibile spontaneità con cui, comunque, tutto questo noi lo percepiamo.
Ogni scatto è come la pagina di un libro o il fotogramma di una pellicola, con un’interpretazione dominante ed essenziale dettata dalle tematiche soggettive, ed una universale, densa delle sfumature che ognuno vuole trovare. E comunque rimane sempre realtà autentica, elemento fondamentale, oggettiva e soggettiva insieme, assolutamente senza artifici, a dare forma all’incantesimo che dimora oltre il vero, oltre la sua stessa essenza.
Una realtà volutamente stemperata sulla superficie della tela scelta come supporto fotografico per non disperdere la formazione e le origini creative di Betty Zanelli, e, particolarmente, per esaltare la pittoricità dell’immagine, definendo una percezione di dissolvenza dei margini della figurazione, mescolando le ombre e i chiaroscuri ed accentuando ancor più l’atemporalità dell’evento. Questa sua determinazione e soluzione formale rendono quindi l’opera e il concetto ancor più sensibili. Il suo procedere è ineluttabilmente rivolto alla conquista della coscienza e dell’emotività di noi osservatori, con garbata energia e con reverente provocazione.