A cura di Piero Orlandi

 

La casa si trova nella campagna di Sarnano, in provincia di Macerata. Costruita all’inizio del Novecento, è stata abitata per oltre un secolo, poi è rimasta vuota di colpo, in quanto dichiarata inagibile a seguito degli eventi sismici del 2016 e 2017, la cui magnitudo massima è stata appunto pari a 6,5. Due fotografi sono entrati nella casa e hanno fotografato gli interni. Di norma, i terremoti sono raccontati dagli strumenti di informazione attraverso immagini sconvolgenti. Il lavoro fotografico sulla casa ferita ha un obiettivo diverso: la distruzione prodotta dal sisma viene descritta in un modo dimesso ed intimista, non per attenuare l’evidenza drammatica dei fenomeni, ma al contrario per testimoniare che il loro effetto devastante su quei territori deriva in larga misura proprio dalla sommatoria di migliaia di eventi che hanno distrutto o lesionato gravemente singole case private, il tessuto abitativo di una grande area in quattro regioni.
Fabio Mantovani è un fotografo di architettura di cui Spazio Lavì! ha ospitato nel 2014 la mostra Cento case popolari; ha fotografato la condizione quotidiana della casa, il suo essere perennemente al buio, priva di vita e di abitanti, un’oscurità da cui ci si chiede in che modo e quando risorgerà.
Giovanni Zaffagnini ha svolto negli anni Ottanta numerose ricerche etnografiche, documentando le tradizioni dell’ambiente rurale. In seguito si è rivolto principalmente al paesaggio contemporaneo. Le sue immagini evitano ogni clamore, non raccontano l’evento ma arrivano volutamente dopo, descrivendo il terremoto attraverso il vuoto e l’abbandono in cui la casa si trova a dover sopravvivere, nel silenzio.
Affiancando alle fotografie degli ambienti le carte, i quaderni e gli album di famiglia custoditi nei cassetti all’interno della casa, si è inteso dar voce – senza enfasi, con la forza parlante di immagini dalla temperatura corrispondente all’ambiente reale – alla speranza di una ricostruzione materiale e umana.

Giovanni Zaffagnini (1945) vive e lavora a Fusignano (Ravenna).
Dalle ricerche etnografiche degli anni settanta è passato successivamente alla fotografia di paesaggio, con particolare attenzione agli spazi urbani, all’ambiente e ai vari aspetti della quotidianità, mettendo spesso in relazione la sua opera con altre forme di espressione.
Nel 1986, su progetto di Gianni Celati, è stato fra i curatori della mostra itinerante e del volume Traversate del deserto (Ravenna, Essegi Editore).

 

Mostre (selezione): L’insistenza dello sguardo, fotografia italiana 1839-1989 (a cura di P. Costantini e I. Zannier, Venezia, Palazzo Fortuny, 1989); La matière, l’ombre, la fiction (a cura di J.C.Lemagny, Paris, Galerie Colbert, 1994); Modena per la fotografia (a cura di W. Guadagnini, Modena, Palazzina dei giardini, 1997); 32 Italian Photographers: A tribute to Phyllis Lambert (Montreal, Canadian Centre for Architecture, 1999); Pensèes Sauvages (Sceaux, La Galerie du Petit Chateau, 2003); Herbolarium (Bari, Castello Svevo, 2004); Architettura in Emilia-Romagna nel secondo Novecento (a cura di M. Lupano e P. Orlandi, Bologna, Galleria d’Arte Moderna, 2005); Un Po di particolari (Blue project, Vila Real de Santo Antonio, Portugal, 2007); Tecla (Bolzano, Galleria Foto-forum, 2008); 54° Biennale di Venezia, Pad. Italia, (Reggio E., Chiostri di San Pietro, 2011); Sembianze (a cura di I.Zannier e R.Maggiori, Rep. di San Marino, Museo San Francesco, 2011); Desert Inn (a cura di C.Garzia, Bari, Castello Svevo, 2012); Deserto Km.0 (a cura di M.Isabel Fernandez, Forlì, Biblioteca A.Saffi, 2012); Fin dove può arrivare l’infinito? a Luigi e Paola Ghirri (a cura di D.De Lonti, Rubiera, Linea di confine, 2012).

 

Monografie (selezione): Terra,case,strade,acqua, (Padova, Interbooks, 1992) Tecla (Fusignano, I figli del deserto, 1994), Carte riciclate (Milano, Charta, 2001); Herbarium (Milano, Silvana Ed. 2003); Io vidi. Il paesaggio nella poesia di Dino Campana, (Ravenna, Longo Ed. 2003); Ville dei sogni (Ravenna, Danilo Montanari Ed. 2006); Gli alberi morti, (Ravenna, Danilo Montanari Ed. 2010); A cielo aperto. Nel paesaggio rurale della Bassa Romagna, (Castel Maggiore, Editrice Quinlan, 2011).
Collezioni: Bibliothèque Nationale de France, Paris; Canadian Centre for Architecture, Montreal; Galleria Civica, Modena; Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, Bologna; Archivio Italo Zannier, Venezia.

A cura di Piero Orlandi

 

“Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!”. Le parole sono di Pessoa, o forse di Tabucchi che le ha scelte tra le migliori del suo amato, ma sono anche del fotografo che guarda, e dunque sente, e pensa su ciò che sente, provando un disagio da cui vuole liberarsi, di lì a poco ricadendovi, più spossato di prima. Questa, secondo Giovanni Zaffagnini, è la condanna del guardare. Qualunque sia la cosa che si guarda, anche – e forse di più – se filtrata attraverso i vetri sporchi delle fermate degli autobus e delle cabine telefoniche (quando ci si andava per telefonare). Stiamo lì, assorti, e tra noi e il mondo c’è un fragile schermo, sul quale però facciamo un grande affidamento: lo schermo ci illude di poter difenderci da ciò che vediamo, dagli effetti del sentire, del sentimento. Un sentimento di sconforto per la bruttezza, l’insignificanza di ciò che ci circonda, che sono poi – la bruttezza, l’insignificanza – una specie di condanna che ci colpisce: di non poter trovare salvezza, speranza, appigli per ripartire. Di essere costretti a navigare a vista in un mare di ovvietà, di sciatteria, come quello che sembra coprire e sommergere sempre di più i nostri paesaggi, soprattutto quelli urbani. Che inquietudine vederli! Anche così annebbiati come appaiono attraverso questi schermi dietro i quali ci troviamo, telefonando, rincasando, attraversando la città, anche così sono brutti, non riescono ad avvicinarsi neanche un po’ alla dimensione del sogno, della leggerezza. Restano incombenti, e per sfuggirli l’occhio mette a fuoco – e la lente fotografica fa la stessa cosa – ciò che sui vetri qualcun altro ha provato a sfogare con frasi, parole, post-it per il fratello che leggerà: appunti, richieste d’aiuto, maledizioni, imprecazioni, sospiri d’amore…

E poi, dice Zaffagnini – ce lo dice con queste foto sempre in bilico tra la disperazione e quell’ironia che funge da estrema possibilità di riscatto – questi schermi polverosi, ingrommati, scaracciati, somigliano così tanto all’effetto reale della combinazione tra retina e cervello che agisce nella nostra fisiologia: la retina, che pensiamo registri tutto, e il cervello, che crediamo decodifichi, alla ricerca di una verità oggettiva, una verità dove bianco è bianco, sopra è sopra, davanti è il contrario di dietro, e così via. Fortunatamente ci capita di crederci, attimo dopo attimo. E’ una fortuna, perché solo così ci è concesso di sopravvivere. Anche se non è vero. Anche se i punti di vista, i sentimenti, i condizionamenti agiscono attimo dopo attimo per deformare quella idea, quella speranza di verità che sempre si distrugge e che sempre proviamo a ricomporre, pezzo dopo pezzo, e di nuovo sempre ci sfuggirà di nuovo, e non è crto colpa della nebbiolina di quei vetri sporchi. Che semmai sono una metafora di ciò che ci accade nel quotidiano.