Nata a Catania nel 1991, Josephine Yole Signorelli, in arte Fumettibrutti, è il nuovo grande fenomeno del fumetto italiano. Con testi e disegni diretti, duri e spiazzanti sta raccontando la realtà e i sogni, spesso disillusi, della sua generazione. Romanzo esplicito (Feltrinelli Comics 2018) è stato il suo esordio editoriale, acclamato dalla critica (non solo fumettistica) con il quale ha vinto il premio Micheluzzi come miglior Opera Prima, premio Cecchetto e Gran Guinigi come miglior esordio, 2019. Per il suo lavoro sul web le è stato riconosciuto il premio Andrea Pazienza come migliore autrice web, 2019.

a cura di Sergio Rossi
 
 
Fumettibrutti
 
Sesso, droga, violenza, baci, lacrime, abbracci. C’è tutto questo e anche di più nelle pagine di Josephine Yole Signorelli scritte e disegnate senza censure, omissioni, ellissi narrative. Lo sa bene chi la segue su Instagram e su Facebook attraverso le sue storie, sia a fumetti sia quelle personali, che sono poi state alla base del suo primo romanzo a fumetti, Romanzo esplicito. Ma il vero salto autoriale è avvenuto con P. – La mia adolescenza trans, un libro dove mette in scena, pietismi e autocommiserazioni la sua vita, in particolare l’attraversamento di quella linea d’ombra che l’ha portata alla consapevolezza di sé e alla sua trasformazione dall’adolescente dai tratti delicati P. all’attuale Josephine. Testo e disegni sono volutamente sghembi, non realistici, a volte addirittura sbagliati e al limite del comprensibile. Eppure, funzionano. Chiunque scriva e disegni conosce bene l’immediatezza dei primi schizzi e la freschezza di alcune frasi colte al volo che segnano l’inizio di una nuova storia e, insieme, la paura di perdere quello slancio iniziale, quell’intuizione che è stata la scintilla di tutto.
Nelle pagine de La mia adolescenza trans questo non avviene grazie a questo segno scabro che diventa il mezzo più rapido per colmare la distanza tra l’intuizione del cervello e l’esecuzione della mano, una specie di scrittura automatica dettata dall’urgenza di raccontare tutto e subito, e di farlo senza le mediazioni della tecnica e della decantazione dell’esperienza. È un tratto che sembra basato sul modello “buona la prima”, e per questo è a volte oscuro, ma certo più efficace rispetto a uno più meditato, definito, risolto, facile a vedersi, e forse addirittura più artificioso. Il risultato sono immagini 1rese da un’ideale telecamera dotata di una messa a fuoco infinita che, da un lato, ci mostra senza sfumature tutto ciò che inquadra in campo erotico e sentimentale e, dall’altro, lo deforma per amplificarne la forza narrativa. È così che luoghi dove si dipanano le memorie dell’autrice – come i parcheggi, le aule di scuola, le discoteche – vengono resi solo nei minimi componenti strutturali che donano loro quella suggestione che li trasforma in luoghi dell’anima che qualunque lettore riesce a riconoscere come propri. Ed è anche così che l’autrice crea una comunicazione diretta con il lettore, il quale avverte la sincerità del racconto e si accorge subito che in quelle pagine il sesso esplicito ha la stessa forza narrativa delle farfalle nello stomaco, perché entrambi nati dalle forche caudine della violenza vissuta e raccontata dall’autrice nella sua ricerca di trovare la persona che davvero si sente di essere, attraverso la ricerca del vero corpo che si sente addosso e non quello con cui casualmente è nata.