Ciotole d’acqua

Margherita Tosatti

9-23 mar 2024
lunedì-sabato 17.30 – 19.30
domenica su appuntamento
inaugurazione 9 marzo ore 17.30

Lavì! City – Bologna

Bianca Tosatti

Per le sue Ciotole d’acqua, Margherita Tosatti ha selezionato una serie di frasi dal famoso raffinatissimo libretto di Iosif Brodskij, Fondamenta degli Incurabili. Questo luogo – che oggi chiamiamo Zattere – incantò il poeta russo al punto di esprimere il desiderio di essere sepolto a Venezia, nel cimitero di San Michele.

Brodskij dice che Venezia è una “città acquario destinata a scomparire… un ammasso di porcellana e di cristallo rotto”. Anch’io che scrivo di queste opere in mostra non posso fare a meno di pensare all’effetto lenticolare, intorbidante e movimentato della luce nell’acqua, come quando si guarda attraverso un acquario colpito da imprevedibili rifrazioni luminose. L’obiettivo dell’artista è proprio questo, quello di spingere verso l’espressione la potenza nell’atto, salvare l’imperfezione nella forma perfetta.

Increspature quasi impercettibili e mobilità di innumerevoli squame, grovigli e singhiozzi, addensamenti e ritmi ipnotici: l’occhio si fa mano e riesce a dare corpo alle sfrangiature e ai trascoloramenti, sgualciture di metalli iridescenti o avvolgimenti come di carta morbida e pastosa. Non è un ritratto d’acqua veneziana: come si diceva prima, l’artista è consapevole dell’imperfezione, di una quota di ingovernabilità della materia che, ritorcendole, restituisce le intenzioni… ma sono vere intenzioni, quelle dell’artista? Credo che si tratti in realtà di attitudini, di un “inclinare verso”: conoscere è sempre deformare il reale e l’arte rappresenta sempre la tensione fra una conoscenza sentita e una rappresentazione oggettiva.

L’unica parola che davvero definisce l’esperienza dell’artista è “sorgiva”.

Bisogna accogliere ciò che sorge, bisogna contenerne l’energia, l’eccesso e, dal momento che l’artista si mette sempre dalla parte dell’eccesso, ha bisogno di definire un sistema che imposti un regime di rigore, proprio perché la sua rottura produca il nuovo e la meraviglia.

Margherita Tosatti ha scelto la purezza della forma primaria che tutti noi riconosciamo nella ciotola, anche se in questa breve riflessione alla parola “forma” preferiamo sostituire la parola “figura”, come ci ha insegnato Klee.

Nella figura della ciotola appunto ritroviamo l’esattezza del cosmo rappresentata dalla perfezione geometrica della sfera che ingloba tutte le simmetrie, le serie, le combinatorie, le proporzioni… ma poiché la ciotola è una figura di sfera tagliata, proprio nel taglio sentiamo la materia e il suo mistero spesso sfuggente, l’idea di limite, di perdita, di indefinito, di tensione deformante.

Pensiamo all’orlo dove tutto può succedere, al margine da cui si può precipitare, al rimbocco che recupera verso l’interno….questa è la parte liminare della figura della ciotola, quella in cui può succedere la deformazione della materia acquosa e luminescente, la dissoluzione della sua compattezza, la vertiginosa consapevolezza del vuoto.

E ci viene voglia di passare la mano sull’asperità della materia per misurarne la solidità, per riconoscerla contro la nostra pelle con quella sapienza meteorologica antica da contadino che saggia, che pesa, che controlla le minuzie e i corpuscoli sotto le unghie.

Verifica effettuata. Sentiamo, anche solo per un attimo, quell’esperienza sorgiva in cui si intrecciano catene di associazioni poetiche: la luce allaga, scorre e zampilla; la cavità della ciotola contiene, incornicia, assorbe; l’acqua si forma e si frantuma, si piega e si fa terra.