Lettere dallo spazio / liturgia della memoria

Alessandra Marolla

dal 13 al 27 ottobre 2018

inaugurazione sabato 13 ottobre, ore 17,30

tutti i giorni dalle 17,30 alle 19,30

Lavì! City – Bologna

L’attesa come recupero dell’umanità
Davide Da Pieve

 

L’esposizione ideata da Alessandra Marolla narra la storia di un’attesa e incarna un momento di sospensione in cui le coordinate spaziotemporali vengono meno per rivolgersi direttamente ai nostri sensi.

Lettere dallo spazio/liturgia della memoria è un’esposizione introspettiva, una narrazione che si sviluppa attraverso ricordi e memorie sotto forma di frammenti, in cui è possibile scorgere, riprendendo le parole di John Berger, una tensione tra cultura della sopravvivenza e cultura del progresso: una relazione inestinguibile tra passato e presente, tra memoria e divenire.
Tale legame risulta evidente nella serie di fotografie collocate sul piccolo ripiano; l’impressione di date per mezzo di timbri nel retro delle immagini porta all’attenzione il divario che separa una dimensione passata da una volontà di attualizzazione dell’immagine.

Ciascun visitatore può prendere gli scatti esposti e portarli via con sé, solo dopo aver impresso un timbro con la data in cui lo fa. Affiancandosi all’impressione precedentemente realizzata dall’artista – con la data dello scatto – il secondo timbro evoca uno scarto, una distanza, ma, al contempo, una convergenza: un flusso inarrestabile equiparabile al processo di ossidazione a cui sono sottoposti I supporti in ferro di altre opere esposte.

Le lettere installate a parete giungono metaforicamente dallo spazio, ovvero da un mittente sconosciuto, lasciando allo spettatore assoluta libertà immaginifica, senza correre il rischio di rendere ogni singolo frammento un semplice documento. Ci troviamo di fronte a un grande archivio, a un’accumulazione di frammenti di vita che Christian Boltanski, definirebbe “tracce di identità perdute”. Con queste parole colme di energia l’artista francese indica la concretezza di un’assenza, la matericità di un frammento che acquista nuovo valore ogni volta che viene osservato.
La distribuzione ordinata e simmetrica delle lettere evoca una certa solennità dell’opera, dando vita a un archivio composto da numerosi frammenti di parole e immagini.

L’archivio infatti, nel nostro caso, non è concepito per stimolare una lettura che rispetti una logica consecutio temporum; ciascun elemento in esso contenuto costituisce l’inizio di una narrazione che si sviluppa attraverso piccoli frammenti, lasciando al visitatore la possibilità di leggere una storia da costruire e ricostruire di volta in volta.

Le parole e le immagini, per certi aspetti, sono impiegate dall’artista come mezzo intercambiabile: entrambe sono intendibili come mezzi di trasmissione capaci di veicolare contenuti e, nel medesimo tempo, come reliquie e testimonianze: l’immagine è eterna, è mezzo inossidabile del fragile e instabile passaggio dell’uomo, proprio come accade con il messaggio scritto.

Nonostante le similitudini tra i due mezzi è importante sottolineare alcune differenze: se la fotografia è realizzata per mezzo di uno scatto immediato, la scrittura di una lettera è qualcosa di più lento, un’azione manuale prolungata e fluente che contraddice le spinte tecnologiche avviate dall’immediatezza del click fotografico.

L’arte, quando è legata alla memoria e al ricordo, diventa veicolo di conoscenza e di valori che arrivano all’osservatore in modo diretto e immediato, riportando alla mente immagini forti, e favorendo lo sviluppo di pensieri estremamente personali.

 

Lettere dallo spazio/liturgia della memoria è una mostra evocativa con un forte carattere di apertura, non solo per i suoi contenuti, ma anche per il coinvolgimento empatico rivolto al pubblico. Lo spazio è dunque inteso come luogo simbolico dell’altrove, in cui tutto resta sospeso, in attesa. In questo senso dobbiamo intendere la liturgia: una sospensione tra l’opera e il pubblico, il dono dell’attesa come momento di condivisione intimo. Nel pieno degli sviluppi dell’immediatezza dell’era digitale, nel periodo in cui anche la scrittura è diventata per lo più una somma di numerosi click, potrebbe sembrare quasi paradossale, o addirittura un sentimento nostalgico e fuori moda, parlare di attesa.

La velocità dell’algoritmo corrisponde oggi a una grande frenesia nei comportamenti. I nuovi dispositivi impiegati per la comunicazione ci spingono a esercitare una lettura sempre più per sommi capi, suggestionando negativamente la comprensione del contenuto e del nostro rapporto con la realtà.

 

L’attesa diventa così elemento cardine dell’esposizione: un riscatto, un agente nella sfera percettiva e sociale, per cercare di portare verso l’esterno la densità dei territori incogniti dell’essere.